Mi sono complessata sul definirlo horror o meno ok
Prima di iniziare un secondo a parlare un sacco di The Lobster, vorrei in primis ringraziare Andrea, che mi ha scritto per consigliarmelo!
In secundis, ho riflettuto un po’ prima di portarlo qui su Horrornauta, poiché non ero totalmente sicura seguisse quello che è un po’ il filone generale del sito. Tuttavia, dopo ripetute analisi e dopo il fatto che mi fosse rimasto in testa un po’, e soprattutto dopo aver constatato che, di suo, ha una buonissima componente dark, ho deciso che ne valeva la pena.
vi ricordo sempre che siccome sono una signora, nelle mie recensioni faccio spoilerThe Lobster (2015) – Concepito per il solo gusto di far trippare la gente
Prima di parlare del film in sé, mi piacerebbe fare una breve parentesi sul regista, Yorgos Lanthimos, già autore di Dogtooth, e che esordisce per la prima volta con un film in lingua inglese e con un cast internazionale.
Dopo aver visionato il film ed essermi fatta una mia idea, ho iniziato ad approfondire la cosa, con qualche intervista e qualche articolo. Devo dire che, è stata un’esperienza veramente divertente.
Praticamente ci sono sempre queste conferenze con tantissima gente, giornalisti, appassionati, esperti del settore, tutti che si preoccupano di fare domande veramente specifiche, profonde, dettagliate, tutti che cercano il nocciolo del film…E Yorgos praticamente così:
Per farvi qualche esempio, gli hanno chiesto come se ne fosse uscito con l’idea di questa trama comunque molto particolare, e lui, con nonchalance:
O ancora, “dunque cosa ti spinge a decidere che quel personaggio deve essere necessariamente rappresentato da quell’attore?”, e lui:
E l’ultima, praticamente questo tizio gli fa: “Senti Yorgos ma io pensavo che quindi la ribellione della leader dei solitari potesse essere una sorta di ribellione contro i propri parenti ma ingrandita, per esempio scegliendo di far suonare ai genitori musica classica ed obbligando invece i solitari ad ascoltare musica elettronica, come sfregio insomma”
Yorgos:
E’ stato veramente bellissimo. Ho voluto fare queste breve digressione perché in realtà si sposa bene con quello che era il suo intento: far sì che gli spettatori si facessero domande, discutere, parlarne.
Il regista stesso sottolinea come appunto, spesso e volentieri, sono gli spettatori stessi a vedere nel film cose/riferimenti/sottigliezze che magari sono capitate per caso e non erano realmente volute.
Questa enorme libertà, ci lascia quindi la possibilità di vedere The Lobster (2015) con una nostra visione personale, intima, magari definita soltanto dalle nostre esperienze, dai nostri contesti. Il che appunto, lascia molto spazio al “confronto”, cosa ci vedi tu? cosa ci vedo io? E dunque questo, questo intento intrinseco di portare la gente a “dubitare”, è qualcosa che mi ha mossa e mi ha permesso di apprezzare maggiormente l’intento del film (ed anche del finale).
Smetto di bullizzare Yorgos e parlo finalmente di The Lobster
THE LOBSTER (2015) nasce come una sorta di “esperimento”, un test sulla natura umana, “come agirebbero gli esseri umani se messi in condizioni di…”. Non è una distopia, anzi, Lanthimos ci dice che il suo intento era quello di rappresentare una realtà che fosse quanto più possibile vicina alla nostra.
E’ inoltre un’ottima rappresentazione di come, in assenza di effetti speciali clamorosi, un film sia interessante e coinvolgente grazie al solo utilizzo di un concept peculiare e soprattutto grazie all’immaginazione.
E’ una dark (molto dark) comedy, mi ha ricordato un po’ Cat Sick Blues (2015) e la questione del “far ridere facendo provare disagio”, che è esattamente l’effetto che ho avuto.
C’è moltissimo dark humor che a me fa impazzire, così come la monotona narrazione fuori campo, che risulta essere al limite del bizzarro. Tutte caratteristiche che si preoccupano di farti “ridere”, in contrapposizione a scene che invece ti fan rimanere di stucco (le urla della donna biscotto le sento ancora).
I personaggi di The Lobster
I personaggi non sono per nulla approfonditi, molti vengono definiti soltanto da una loro caratteristica (il miope, la donna biscotto, la leader), così come noi non sappiamo niente di loro, anche gli attori non hanno avuto alcun background a cui far riferimento, il ché ha favorito una recitazione molto “casuale”, un po’ come se il regista li avesse messi di proposito in una situazione di cui sanno poco e niente per farli agire quanto più “naturale possibile” (e torna un po’ la questione del film come “esperimento”.)
Qualche nome carino a cui vorrei fare uno shoutout:
Léa Seydoux, che mi ha fatto dubitare del mio orientamento sessuale e che avevo già visto in Death Stranding
Jessica Barden, il cui sguardo da psicopatica mi ha seguita da The End of the F***ing World a The Lobster
Ariane Labed, che interpreta la cameriera, è la moglie di Yorgos
Significato di The Lobster (2015)
Seppur sembrasse un episodio di Black Mirror, The Lobster non è una distopia, è semplicemente l’estremizzazione di un alcune “regole” (a volte evidenti, a volte rispettate passivamente) della nostra società.
L’hotel come rappresentazione di una società che “pretende” tu stia in coppia, che la vita di coppia “è meglio”, “è più sicura”. Obbligati ad accoppiarsi per “rientrare” nei canoni della società. Così abbiamo chi si adatta (come ad esempio il tizio che pur di accoppiarsi si spacca il naso 24/7), e chi invece no, decidendo di fuggire.
E allora si fugge da questo hotel con delle regole assurde, per finire in un altro “hotel”, in un’altra tribù. Pensi di essere scappato, ma l’altra alternativa, i solitari, è altrettanto estremizzata quanto l’hotel.
Non c’è reale via d’uscita. Si salta da una tribù all’altra, assoggettati dalle regole che vengono imposte.
La solitudine come stigma e la famiglia come realizzazione ultima
Nel contesto di The Lobster (2015), la società ritiene “normali”, solo coloro con un/una compagno/a. La solitudine, la persona sola, viene vista come un reietto. E’ una realtà che, purtroppo, in alcuni contesti è ancora valida, seppur negli ultimi tempi ho visto esserci una sorta di rivalsa dei “soli”.
Ma allora, il fidanzatino? Quando ti sposi? Quando fate i figli?
Questa costante pressione sulle spalle (che alcuni risentono mentre ad altri non frega proprio niente), questo continuo spingere gli altri verso quello che “la massa”, “la maggioranza”, ritiene lo scopo ultimo (dunque l’accoppiamento ed infine la procreazione), aumenta col tempo e diventa insistente nel momento in cui inizi a vedere che tutti quelli che ti circondano alla fine imboccano quella strada. “Sono anormale? Sbaglio a non volerlo fare anch’io?”
Non a caso, mia madre, mi considera zitella. A 24 anni. Zitella. Dunque quello scritto sopra deriva anche un po’ da come la vivo io. Per fortuna però, non mi cerco il primo miope del caso per accoppiarmi e vivere infelice in società.
Ma il discorso potrebbe essere ampliato con tutti i pregiudizi del caso che ruotano intorno alla questione, come ritenere che trovare l’amore dopo i 30/40 sia una sorta di barzelletta, così come non credere nell’amore nella terza età, insomma, come se per stare insieme ci fosse un manuale da seguire, delle tappe, e una volta che te le sei bruciata, fine, è andata. Solo per sempre e destinato a trasformarti in una cazzo di ARAGOSTA.
Le relazioni, quelle banali e superficiali
Un’altra caratteristica particolare ed anche abbastanza palese in The Lobster (2015) è la superficialità delle relazioni che si vengono a creare. Forse anche l’input stesso dell’innamoramento viene messo in dubbio: la donna miope s’innamora di David a caso, lo vede, se lo immagina in una villa mentre si accoppiano e sbam, tanto basta per fare il primo passo verso di lui.
Perché si sta insieme? Perché siamo miopi entrambi, siamo uguali, ci accomuna quest’unica cosa e tanto basta per giustificare quest’attrazione che c’è tra noi due. E se non c’è neanche quell’unica cosa? Allora costruiamola. Soffri di epistassi ma io no? Non importa. Pur di far vedere a tutti che sto in società ed ho una donna accanto a me, mi spaccherò il naso per fingere che in questa relazione “io ci sto”, “ho il diritto di starci”, “ho abbastanza per poterci stare”.
Non è troppo difficile guardarsi intorno e guardare coppie che in comune non hanno altro se non l’avere niente in comune. Persone agli antipodi che si fanno a brandelli pur di forzare il loro stare insieme. Perché? è più facile questo che stare soli? Perché la solitudine ci spaventa? Perché lasciamo il sopravvento a tutto ciò che nella nostra testa viene idealizzato?
THE LOBSTER – Storia di un amore non convenzionale. Si o no?
Pensate che The Lobster (2015) sia romantico? Alcuni sono di questa idea, la stessa Rachel Weisz (la donna miope), ha definito The Lobster come un film romantico, con la R maiuscola, da intendere come il superamento dell’amore di ogni barriera, regola, insomma l’amore che ti fa fare stronzate, andando contro tutti.
Io non sono tanto di questa idea, sarà una storia d’amore sicuramente non convenzionale nel contesto in cui è ambientata, ma per me è abbastanza scialba ed insipida. Nasce per banalità ed alla fine del film ci troviamo un David che comunque sta lì, davanti allo specchio, con un coltello puntato all’occhio.
Seppur usciti fuori dalle loro tribù, dalle loro imposizioni, sentono comunque il bisogno di trovare “quella cosa superficiale che li rende uguali”. Non sono realmente usciti dai loro schemi, il loro sentimentalismo è sempre lo stesso, banale e superficiale.
E’ tutto ridotto ad uno stato quasi infantile, le relazioni, così come il modo di parlare dei personaggi. Tutti un po’ drogati e assuefatti.
Sono disposto ad accecarmi per te?
E quindi il finale aperto lascia un po’ la possibilità di fare domande. Si accecherà per amore? Troverà invece un accordo con la donna cieca senza perdere la vista? E’ realmente questa una prova d’amore? Quanto è sensato chiedere all’altro prove estreme per dimostrare un sentimento? Considerando tutti i punti interrrogativi che ho usato in sta recensione, penso che Yorgos sia riuscito nel suo intento con The Lobster (2015).
Question! Question everything!
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